Dieci capodanni

Serie spagnola, molto ben diretta e recitata, e ce ne vuole di bravura per reggere lui e lei che, un capodanno dopo l’altro, ci fanno vedere, senza che succeda granchè, a che punto stanno della relazione, che evolve anno dopo anno.
E scopano. Scopano tanto. In scene molto realistiche, fra le migliori che io ricordi sullo schermo.
Nel primo episodio l’ho molto apprezzata (la scena d’amore), nel terzo pure, nel quarto non ricordo.
Nel quinto sono appena arrivati a Berlino per una vacanzina (siamo sempre a capodanno), arrivano in albergo, posano le valige, stanno per uscire per un primo assaggio della città, hanno ancora i cappotti addosso e i primi dieci minuti sono di masturbazione (masturbazione triste) di lei a lui.
Mi sono fermato qui, non ce l’ho fatta a proseguire, nonostante la bravura del regista e degli attori.
Poi, un paio di mesi dopo, devo ringraziare una mia buona amica che mi ha convinto a riprendere.
Perciò, ho visto le ultime cinque puntate e sono contento di averlo finito.
Un pezzo di bravura per la naturalezza di ogni singolo particolare del racconto, la capacità di mantenere la continuità pur con tutti i balzi che la vita, nel tempo, propone all’uno e all’altra.
L’ultimo episodio ha dialoghi che suonano particolarmente veri, nella difficoltà estrema di districarsi fra sentimenti inconciliabili e il dubbio che e se poi tutto fosse come prima?
I bilanci, le recriminazioni, le miserie, la passione: tutto si mischia a cercare una via d’uscita che appare impossibile.
Quella scelta dal regista forse ci fa contenti ma è davvero troppo facile: bastava farlo finire due minuti prima a “ne riparliamo?”.
The perfect couple

Isola di ricconi, matrimonio del secondo di tre fratelli.
In primo piano i padroni di casa, Nicole Kidman e Liev Shreiber, e poi i tre fratelli, le rispettive mogli e compagne, amici e amiche, i suoceri e insomma un sacco di gente.
Alla fine della prima puntata una persona fra gli ospiti viene trovata annegata.
Perciò, situazione tipica per far emergere, durante le indagini, tresche attuali e passate, interessi, contrasti familiari, rivelazioni.
E, naturalmente, la ricerca dell’assassino/a che, come in ogni rispettabile prodotto di questo genere, ci porta a dubitare a mano a mano più o meno di tutti fino alla rivelazione finale, sorprendente per il movente, peraltro congegnato in modo da essere abbastanza sorprendente e tuttavia credibile, e che ci si può aspettare di più da un giallo?
Perciò: buon prodotto ottimamente confezionato.
Nicole Kidman brava come sempre, che riesce ad essere espressiva anche nei primi piani, ma il protagonista assoluto è Liev Shreiber, per me un gigante della recitazione misurata che dona verità ai personaggi. Lo ricordo nelle lunghe stagioni di Ray Donovan e regista di quel gioiello di “Ogni cosa è illuminata”.
Diario dei miei due di picche

Pensavo ne avrei guardata solo la prima puntata, come a volte, quando non ho voglia di cose impegnative, faccio con serie che si propongono leggere, e invece le ho viste tutte e sette, le mini puntate svedesi di meno di mezz’ora l’una, dove Amanda gestisce, con la sorella e una madre svampita, un’impresa traballante di allestimento di piccole scenografie per matrimoni e feste varie.
Il tema principale è la sfortunata ricerca di un buon compagno, persa fra gli incontri su Tinder e feste sconclusionate.
Il finale …. il finale non lo dico, in qualche modo, e con un po’ di generosità, lo si può dire aperto.
Nel suo insieme mi ha dato un’impressione di verità che ho apprezzato, anche se cominciano ad essere ripetitivi i contesti in cui gli uomini sono tutti, irrimediabilmente, quanto meno inadeguati.
The beast in me

Lei è stata la protagonista di “Homeland”, lui di “Americans”, due fra le migliori serie in assoluto, che hanno mantenuto qualità nelle almeno sei stagioni ciascuna.
In questa miniserie di otto puntate formano una coppia artistica più che all’altezza.
Lui, sopratutto, rende straordinariamente bene la duplicità del narcisista.
Anche la sceneggiatura è ben costruita e, anche se senza grandi innovazioni, si fa seguire e appassiona.
Il finale: i finali potrebbero sempre essere diversi e qui ci sarebbe stata la possibilità di spingere ancora sul tasto “nessuno è innocente”, ma alla fine non si può rimproverare a un prodotto di genere di seguire le strade classiche, compreso uno dei trucchi più abusati per dimostrare la colpevolezza di qualcuno.
In genere guardo un paio di puntate alla volta, raramente mi capita, come in questo caso, di insistere di seguito.
Da vedere.
Disclaimer

Beh, con Cuaròn (Roma) regista e interpreti come Cate Blanchet, Sacha Baron Cohen e Kevin Kline (il migliore, se avesse senso fare una classifica) ce lo si poteva aspettare ma non è mai detto.
Per quanto la storia non sia proprio così originale – ma quale storia può più essere originale? – non dirò della storia, tranne che le due foto che ho scelto ne rappresentano il fulcro.
Il cinema di Cuaròn è fatto di immagini tanto quanto di sguardi e di voci fuori campo e questo amalgama sì che riesce a essere originale. Fastidiosa, per me, solo la continua inessenziale presenza di ogni tipo di gatto in ogni ambiente domestico: sarei curioso di chiederglielo.
In questa storia non ci sono innocenti, e forse la debolezza sta nel finale, quando è sembrato obbligatorio e non lo era, additare una colpevolezza.
Nel terzo episodio la scena di seduzione, e poi di sesso, ma che non vediamo di seguito, sono fra le più erotiche che io abbia mai visto, e anche qui più parole e sguardi che corpi. Un maestro.
Da vedere.
House of Guiness

Una buona serie, un po’ Succession e un pò Peaky blinders, con tre fratelli e una sorella che, alla morte del padre, si trovano a doversi occupare del birrificio e delle relazioni impossibili che ognuno dei quattro si trova a vivere dentro alla rigidità di quella società.
Il tutto intrecciato, fra Dublino e New York, con la resistenza irlandese contro gli odiati inglesi. Attori tutti bravi, buona regia, impegno produttivo importante con le ricostruzioni d’epoca e le scene di massa. Otto puntate godibili.
Black rabbit

Black rabbit con Jude Law e Jason Bateman (protagonista di Ozarc, qui anche regista) che interpretano due fratelli, uno (Jude Law) che ha retto il ristorante fino a farlo diventare importante, l’altro invece sciamannato pieno di debiti che incasina continuamente il fratello.
Comincia dalla fine e cioè da una rapina nel ristorante intorno alla quale gli sceneggiatori ci fanno scoprire a mano a mano i risvoltii, alcuni inaspettati e questa forse è la parte migliore che ti tiene per le otto puntate.
Ben girate, ben recitste – Jude Low è sempre una garanzia e il comprimario non sfigura, anche se quell’aria eternamente dimessa che gli hanno cucito addosso non sempre arriva credibile.
Verso la fine veniamo introdotti in un flashback più lontano, con il padre violento dei due fratelli e l’amante della madre che fino a quel momento abbiamo conosciuto in un altro ruolo e che ci lascia con qualche ambiguità relazionale. Ha un senso, sì, ma a me è sembrato, questo flashback, un po’ inzeppato, più per allungare di un paio di puntate che per effettive esigenze narrative.
Qualche forzatura, qui e là, ma in questo genere di prodotti ci può stare.
Insomma, si fa guardare, può piacere anche molto a chi ama le situazioni perennemente ansiogene.










