La grazia

Al cinema Troisi, alle 11.20, nessun posto libero.
Dico subito che cosa non è, almeno secondo me, rispetto a ciò che mi è passato sott’occhio prima di andare a vederlo.
Non è un film sul presidente Mattarella: per carità!
Non è un film su un dilemma etico.
O meglio, i dilemmi etici ci sono, circa firmare una legge sull’eutanasia e circa firmare due domande di grazia per un uomo che ha ucciso la moglie e per una donna che ha ucciso il marito.
Ma non sono il tema del film, anche se quello è il titolo.
È un film sull’amore, nella varie forme che può assumere, forse più di altri di Sorrentino più espliciti rispetto a questo.
In altre occasioni mi sono augurato che Sorrentino si limitasse a fare il regista e facesse scrivere ad altri la sceneggiatura, stavolta mi sono ricreduto, perchè questo è “scritto e diretto” senza nemmeno co-autori e il risultato è il meglio che mi potessi aspettare.
Sorrentino ha la capacità, che nessuno che io conosca ha con la stessa intensità e bravura, di accompagnare temi umani generali con la bellezza delle immagini – stavolta meno patinate di altre volte – e, direi sopratutto, con la capacità di sorprendere negli stacchi da un’immagine a un’altra, senza sentire il bisogno di collegamenti espliciti, bastando la meraviglia della bellezza.
Qualcuno, con voglia di diminuirlo, lo definisce estetizzante, ma quello che c’è in tutti i suoi film è proprio la grande bellezza.
Circa Toni Servillo: che si può dire di più?
Di mattina, dove c’è, fino al primo gennaio, poi mi pare che riesca “normale” in sala verso metà gennaio.
Da non perdere.
Le occasioni dell’amore

Ci sono persone come te e ci sono persone come me, moi je suis comme ca.
Ritmo lento, lentissimo eppure ti tiene tutte le due ore a chiederti come la risolverà, questa storia in sè banale che potrebbe prendere qualsiasi direzione.
Alla fine non è importante come la risolve quanto l’intensità emotiva che trasmette.
Lui è Guillaume Canet, bravo, ma è Alba Rotwacher, che riesce ad essere espressiva pure ripresa di nuca, a confermarsii di bellezza e bravura “oltre”.
Regista Stéphane Brizé: avrei scommesso fosse Stephanie.
Diamanti

Comincia con una specie di backstage: Opzetek e le attrici dei suoi film intorno a un tavolo che leggono le rispettive parti mentre il regista spiega la sua poetica: celebrare le donne e il loro lavoro.
Questa scena si ripete almeno un altro paio di volte durante il film, con passaggi fluidi fra il backstage e la grande sartoria che confeziona costumi per cinema, qui per un film che si svolge nel ‘700.
La sartoria è gestita da due sorelle che si trovano ad avere a che fare con una grande costumista, premio oscar, che dà indicazioni, circa l’effetto che vuole ottenere con quel costume, con frasi sconclusionate che tutte fingono di capire.
Ognuna delle donne della sartoria ha qualche dramma nascosto che emerge inesorabile circa ogni quarto d’ora, alternato alle scene in backstage, con l’evidente scopo di spezzare a forza, a volte a freddo, con eventi o ricordi drammatici, una narrazione che non c’è.
Le attrici tutte brave – Geppi Cucciari fa sè stessa nella veste di sarta – perché Opzetek è un signor regista che sa come muovere la macchina da presa in mezzo a tanti personaggi e sa come cogliere le espressioni. Solo che bravi attrici espressive non bastano a coprire la ricorrente, fastidiosa sensazione ecco che mo’ arriva il colpo di scena.
È un regista che ormai da anni spreca quel talento che nei primi tre, quattro film, risultò cristallino.
La morale ci viene inflitta nell’ultima egocentrica scena, quando un Opzetek con aria ieratica e ispirata si aggira per le stanze ormai vuote del set mentre voci fuori campo ci ricordano, ce le fossimo scordate, le frasi più significative di abissale profondità, tipo se ci si vuole bene non serve vedersi o tutte insieme ce la possiamo fare o non siamo niente e siamo tutto e via di questo passo.
L’omaggio finale al cinema e a grandi attrrici come Monica Vitti, Mariangela Melato e Virna Lisi arriva fuori posto e mi pare sia solo l’ultima autocelebrazione.
Gli uomini: con l’unica eccezione della faccia simpatica di Luca Barbarossa che con la moglie sopravvivono alla morte della figlioletta investita sulle strisce (anche questa ci arriva a freddo, con la grande trovata di far muovere l’attrice lungo un murales con una grande faccia di bambina) e senza testimoni – gli uomini, dicevo, sono tutti irrimediabilmente stronzi, ciascuno a suo modo, oppure sono boy toy da usare, in un rovesciamento in cui le battute sul bel culo o che ti farei le fanno le donne.
Quando uscì lessi commenti entusiasti, soprattutto di donne, che forse si sono sentite valorizzate o forse vendicate. Purtroppo, la logica che sta sotto è quella della guerra fra i sessi, tanto che un potenziale femminicidio ci viene raccontato essere diventato un ‘omminicidio”, che risulta pure divertente, per quanto odioso e sopra le righe figura il sempre bravo Vinicio Marchionni al quale qui viene chiesto di scimmiottare il Valerio Mastrandea di C’è ancora domani.
Meglio farli fare alle donne i film dalla parte delle donne, no? Noi uomini avremmo più da riflettere su noi stessi.
Un BRUTTO film, da evitare.
Lacci

Di Daniele Luchetti da un romanzo di Domenico Starnone.
Solo all’ultima scena mi sono reso conto di aver letto, anni fa, anche il libro.
Si tratta di uno di quei rari casi in cui il film è anche migliore del libro, perchè nel cinema è più facile farci credere quasi fino alla fine che quei due sono gli anziani genitori ed è più facile rendere credibile la scena finale, che invece nel libro mi arrivò forzata.
Sempre più innamorato della grande bravura di Alba Rothwacher e tralascio di nominare gli altri interpreti, tutti perfetti.
La storia: la storia dice di vite rovinate per l’incapacità di vedere, e dire, le cose come stanno. Il che, in effetti, a volta risulta tanto difficile davvero.
Colonna sonora di tutto rispetto.
No other land

Un regista palestinese e un regista israeliano. Il secondo sta lì, insieme ad pochi altri attivisti israeliani, per documentare come l’esercito israeliano distrugge case e come i coloni aggrediscono gli abitanti di questo villaggio fra i sassi. Il primo lo stesso.
Nasce un’amicizia, l’israeliano non viene accettato con facilità, il palestinese è preso di mira dai soldati.
Capita che documentino due assassinii di persone inermi: uno da parte di un soldato e uno da parte di un colono. Uno muore sul colpo e uno resta paralizzato, con il seguito di pena per tutta la sua famiglia.
Ma le scene che toccano di più, perchè durano e si ripetono, sono quelle dei bulldozer che buttano giù le case, che nella notte i palestinesi ricostruiscono – pochi mattoni e latta – perchè no other land: non abbiamo un’altra terra.
Oscar 2024, il documentario è stato girato prima del 7 ottobre 2023, e saperlo fa pensare a che cosa i palestinesi hanno dovuto subire per decenni e a che cosa stanno subendo di peggio in questi giorni.
Arance rosso sangue

Senza saperne niente, a intuito, ho trovato questo gioiello su Prime.
Attenzione: NON lo consiglio per niente e averlo definito un gioiello mi obbliga a riflettere sui miei metri di giudizio perchè in questo caso fatico a trovare motivazioni convincenti.
Film francese, i dialoghi – i dialoghi sono davvero perfetti – sono proprio moooolto francesi, le storie si intersecano, a voler cercare precedenti titolati lo metterei fra Babel e Pulp fiction e già con questi paragoni me la rischio di brutto, ma Arance rosso sangue ha un surplus di ferocia e di crudeltà che lo pone fuori categoria.
Perchè non varca la soglia del grottesco e anzi a tratti sembra prendersi sul serio, lasciando un sapore molto amaro.
I primi circa quindici minuti, questi sì, i primi quindici minuti li consiglio spassionatamente: il confronto fra i membri di una giuria per una gara di ballo di dilettanti allo sbaraglio e poi la gara di ballo sono un vero spasso, e fin qui ero convinto di stare in un film divertente.
Su come continua non dico ma io ho avvertito: crudele, feroce, e quasi non ci sono colpevoli.
Colonna sonora di tutto rispetto.
Jay Kelly

Un attore famoso, affermato, amato, che arrivato a sessant’anni si chiede se il personaggio dell’essere attore non abbia cancellato la persona che lo interpreta.
Intorno a questo tema non originale si sviluppa un filmetto piacevole che si conclude, manco a dirlo, nella Toscana da cartolina che piace agli anglosassoni (ricordo che in un ristorante di Chicago una normale insalata era nobilitata con il titolo “Tuscany salade”).
Vale la pena vederlo sopratutto per le interpretazioni di George Clooney – mi pare una scemenza dire che abbia interpretato sè stesso – e Adam Sandler.
Carino.
Lasciati andare

Un filmetto di una scemenzità totale, con il povero Toni Servillo affannato da una personal trainer sciroccata, se non fosse che nella prima scena c’è Luca Marinelli che scompare subito salvo ripresentarsi nell’ultimo quarto d’ora e farmi ammazzare dalle risate con questo personaggio che sembra una via di mezzo fra il tossico di Ostia di Non essere cattivo e lo zingaro, ma qui molto molto più scemo, di Lo chiamavano Jeeg robot.
Se resistete alla fiera delle banalità dell’ora centrale il finale vale il film.
Stalker

La Zona è un posto maledetto, recintato, circondato dall’esercito, dove è proibito entrare.
Gli stalker sanno come passare e come evitare le trappole mortali in un ambiente da fabbrica diroccata, oleoso, puzzolente, viscido.
Il nostro stalker accompagna per soldi due intellettuali, uno scrittore e uno scienziato, attraverso il putridume fino alla soglia – non sono tanti a farcela – che, se superata, può far realizzare un desiderio.
Ma non quello che credi di conoscere, no, quello più nascosto che hai dentro di te.
È questo, è l’avvicinarsi alla propria profondità che attrae e fa paura. Infatti, colui che diceva di voler far tornare in vita il fratello si ritrovò, invece, coperto d’oro.
Dura due ore e quarantatrè minuti, lento, con quei piano-sequenza di Tarkowsky che ti incollano e ti sfiniscono.
A un certo punto mi sono detto ma dai, andiamo avanti, non la fare troppo lunga, e da un certo punto in poi mi sono detto ma come, sta già per finire?
Il tema è simile a quello di Solaris, altro capolavoro di pochi anni prima: lì, i mostri che perseguitano gli astronauti su una stazione orbitante sono i loro sogni che si realizzano.
L’ultima scena di Stalker è commovente come poche.
So che qualcuno che mi desse retta potrebbe maledirmi, ma per me è un capolavoro assoluto, da non mancare.
Come eravamo

Non mi è stato facile scegliere l’immagine per “Come eravamo”.
A più di cinquant’anni di distanza mantiene tutta la freschezza della difficoltà, nonostante un sentimento profondo, di far convivere la passione inesauribile per le sorti del mondo, che fa mettere in secondo piano anche le relazioni personali, con la semplice voglia di “anche” godersi la vita.
Sono sempre toccato in profondità dallo “spreco relazionale potenziale”, anche quando sembra inevitabile, quali che siano le circostanze che lo rendono tale.
Nell’incontro finale, dopo una dolorosa separazione, sono tutti e due soddisfatti delle vite che si sono costruite, eppure quel gesto che sistema sulla fronte il capello fuori posto dice dello spreco irrecuperabile.
Un plauso anche al grande Sidney Pollack, che ha diretto R. Redford anche ne Il cavaliere elettrico, I tre giorni del condor, La mia Africa. Lo ricordo anche come attore credibile in Eyes whide shut.
Due Partite

Da un testo teatrale di Cristina Comencini, recuperato nei bassifondi di Raiplay, segnalato da qualcuno che di solito ci prende. Non un’opera memorabile, tuttavia la messa in scena di due generazioni di donne mi arriva credibile. Le madri si vedono per giocare a carte e si scambiano confidenze sulle loro vite infelici, tutte con figli, quasi tutte tradite e che tradiscono eppure restano. Le quattro figlie, tutte donne professionalmente affermate, nessuna con figli – l’unica che lo vorrebbe non ci riesce – si ritrovano alla morte di una delle madri, a raccontarsi le tristezze di una generazione dopo. Gli uomini sono sullo sfondo, solo raccontati, nemmeno troppo pessimi anzi qualcuno insopportabilmente affettuoso.
Sentimenti esposti con leggerezza non superficiale, anche le due generazioni di attrici esprimono il meglio. Credo possa piacere sopratutto a donne, ma poi chissà, in fondo le situazioni proposte sono talmente diverse che chiunque un pezzetto di sè ce lo potrà trovare.
One Battle After Another

Ho faticato un po’ a trovare un’immagine in cui ci fossero tutti i protagonisti di questo ennesimo ottimo film di P.T. Anderson.
La storia, fra il serio e il grottesco e spesso è difficile decifrarne il confine e questo fa grande questo regista, è della resistenza che si vuole rivoluzionaria di gruppi di attivisti che combattono le pratiche di violenza contro l’immigrazione.
Leonardo Di Caprio è uno smandruppato costruttore di bombette artigianali, che nel momento del pericolo non si ricorda il quarto o quinto passaggio della parola d’ordine, Regina Hall la sua compagna fuori di testa scoppiante di sesso, Benicio del Toro un serafico insegnante di arti marziali che protegge gli immigrati. Su tutti Sean Penn in un’interpretazione da oscar di un ufficiale dell’esercito che dà la caccia al gruppetto classificato terrorista. Fra Tarantino – non con quella violenza – e i fratelli Coen, un film godibilissimo. Per gli appassionati, al Barberini in VO con sub.
A House of Dynamite

È quella dentro alla quale viviamo, senza pensarci, ci dice Katerin Bigelow, finchè non succede che un missile che non si sa da dove sia partito arriverà fra venti minuti su una grande città Usa e il presidente deve decidere se contrattaccare (ma contro chi?) oppure non. Resa o suicidio, è l’alternativa.
Il film è un classico del genere, con una costruzione perfetta di incastri nel mostrarci quegli stessi venti minuti da differenti angolazioni e punti di vista.
Non vorremmo essere al posto di chi deve prendere quella decisione: resa o suicidio?.
Follemente

Ne avevo sentito dire male da chiunque l”ha sfiorato e invece mantiene la leggerezza che promette. Non uno di quei film da non perdere ma nemmeno da disprezzare.
Per esempio, te l”aveva pure data l’occasione quando ti ha chiesto che significa il sopracciglio alzato e tu gli hai chiesto secondo te? ma quando ti ha alzato la palla rispondendo è come se mi stessi per dire qualcosa tu non le hai detto che eri rimasto male da una mancata risposta e così tutti e due scontenti e ciao ciao.
Questo perchè i condomini interiori non si mettono d’accordo.
In Follemente si accordano, e le cose vanno meglio.
Non un risultato strepitoso, d’accordo, ma meglio dello spreco, questo sì.
Vizio di forma

Uno di quei film che come ho fatto a farmelo sfuggire, finora, e che non mi azzardo a consigliare senza mettere le mani avanti.
Non ha vinto neanche un premio, per me due ore e mezza di piacere, fra scampoli di Chinatown e da Il lungo addio con qualche spruzzata di Hair e forse pure di Muhlolland drive.
Il fim tratto dall’omonimo romanzo di T. Pynchon è diretto da P. T. Anderson ; con Joaquin Phoenix, Katherine Waterston, Eric Roberts, Josh Brolin, Benicio Del Toro.
Non essere cattivo

Alessandro Borghi e Luca Marinelli, non ancora così famosi, al loro meglio nel terzo e ultimo film di Claudio Caligari, morto prima che il film uscisse.
Un regista straordinario nel portare sullo schermo la verità di esistenze difficili e a loro modo ricche.
Credo di averlo visto per la terza volta e non mi ha toccato meno delle precedenti.
Della storia non dico perchè non è importante.
Dico guardatelo, preparati a qualche durezza e a un bagno di umanità.










