Comincia come una storia d’amore di Milton per Fulvia e di amicizia fra Milton e Giorgio.
Milton non fa altro che pensare a Fulvia, che dalla villa di campagna dove i genitori l’avevano mandata è tornata in città, ora ritenuta più sicura.
Milton è un partigiano ventenne, con l’amico Giorgio sono i soli di provenienza borghese, entrambi universitari.
Quando gli capita di passare davanti alla villa non può fare a meno di avvicinarvisi e di chiedere di Fulvia alla governante che è rimasta lì.
Le parole della governante, ambigue circa la relazione che potrebbe esserci stata fra Fulvia e Giorgio diventano il motore del romanzo, perché Milton deve assolutamente incontrare l’amico e farsi spiegare, capire.
Perciò lo cerca alla base della loro brigata ma si è spostato in un altro gruppo e quindi Milton si muove in quell’inverno fangoso che tira giù nebbie che non ti puoi vedere la punta della scarpa. Gli incontri con i Rossi – Milton è di una brigata badogliana – con i contadini di questa o quella cascina, gli scambi di racconti fra partigiani accompagnano i suoi movimenti, sempre più faticosi, con tutto quel fango che gli si aggruma addosso.
Quando finalmente raggiunge il gruppo di Giorgio l’amico è rimasto attardato e non arriva e non arriva finché qualcuno dice che l’hanno catturato i fascisti ma nessuno è sicuro di niente.
Milton allora cerca fra le brigate chi abbia un prigioniero fascista per poterlo scambiare con l’amico ma niente da fare e allora si ingegna a procurarselo lui.
Da qui il racconto quasi si incattivisce: il prigioniero muore da una pistolettata (involontaria?) di Milton, una maestra fascista viene rapata, un ragazzino fucilato dai fascisti.
Di Giorgio non si sa ancora niente di preciso e, mentre Milton va verso Alba senza più un piano di azione, avendo perso il prigioniero da scambiare, si imbatte in un gruppo di fascisti dai quali scappa e queste ultime pagine tra colline scivolose di fango, corsi d’acqua gelidi, ponti minati sono fra le più realistiche che io abbia letto di una fuga quando il fiato manca e il corpo non risponde finché Milton, con le pallottole che gli schizzano intorno, riesce a rifugiarsi in un bosco “…e a un metro da quel muro crollò”.
Queste, le parole finali.
Vivo? Morto? Chissà. D’altra parte, non sappiamo come è andata fra Fulvia e Giorgio, non sappiamo di Fulvia, non sappiamo qual è la spinta principale che induce Milton a rischiare la vita per salvare Giorgio, non sappiamo la sorte di Giorgio.
Non sappiamo niente delle “cose che sono successe” alla fine di queste centoventi pagine. E, tuttavia, sappiamo molto dei moti emotivi dei personaggi e anche di che cosa dev’essere stata la Resistenza, che pure qui rimane uno sfondo.
Uno di quei romanzi da leggere assolutamente.









