Un primo criterio per stabilire – un mio criterio, si capisce – se un libro merita di essere letto e se, quindi, è valsa la pena averlo fatto pubblicare, pubblicare, non scrivere, chè scrivere vale la pena sempre, è se mi fa venire voglia di continuare, mentre lo leggo, e mi fa dispiacere che sia finito quando arrivo alla fine.
Un altro criterio è che racconti una bella storia, con personaggi che si capisce chi sono.
Infine, una scrittura interessante, che può essere levigata e scorrevole o puntuta e graffiante, purchè trovi il modo di arrivarmi almeno qualche volta sotto pelle.
“Custode di mio fratello”, di Mario Santamaria ha soddisfatto il primo dei miei criteri: da quando l’ho preso in mano mi è rimasta la voglia di riprenderlo e di arrivare alla fine.
Circa la storia e i personaggi, beh, la storia c’era e i personaggi pure, la sorpresa è stata che la scrittura, che aspettavo come il pezzo più forte, avendo già letto il romanzo precedente e anche tanti post su Facebook che si distinguono proprio per la scrittura accurata e intensa, la scrittura mi ha affaticato.
Purtroppo.
Non c’è stata pagina in cui non sia dovuto tornare indietro a rileggere almeno un paragrafo e da un certo punto in poi ci ho rinunciato e mi sono accontentato di proseguire a intuito.
Per quanto, ancora adesso sospetto che Caio e Xud siano la stessa persona ma non ne sono certo.
Ma perchè non poteva essere scritto come la bella pagina e mezzo di “Ringraziamenti”, lineare senza che diventi banale?
Ma, poi, forse non è la scrittura in sè, forse è quell’eccesso di gioco a nascondino con il lettore, che ti butto una cosa qui che proprio non la puoi capire, caro lettore, e fra dieci pagine vediamo se sei stato attento e cogli il collegamento con quest’altra cosa.
Fine delle considerazioni di stile.
Circa il contenuto, credo sia ben reso sopratutto il personaggio del carrozziere fascista puro, forse con un eccesso di apprezzamento, se no magari un po’ di entrate economiche sarebbero trapelate dal molto verosimile commercio di appartamenti di uno che è considerato il boss dei blocchi.
Meno credibile il fratello chirurgo estetico, ancora meno la sorella adottiva – non svelo niente, sta scritto nel risvolto di copertina – che davvero non sono riuscito a capire alla fine con quale livello di danno se la sia cavata, a parte aver incontrato la spregevolezza presente dei due fratelli, e quella passata che ci viene fatta intuire, tanto che alla fine il personaggio più simpatico mi arriva il pessimo padre fascistone che se l’è goduta alla grande a Londra, non solo frocio ma pure con l’amante ricco ebreo. Perchè pure la madre, insomma…
Che dite, che non si salva nessuno? È precisamente così, e forse ha voluto essere questo il segnale dato allo spirito del tempo.









