Comincia con una specie di backstage: Opzetek e le attrici dei suoi film intorno a un tavolo che leggono le rispettive parti mentre il regista spiega la sua poetica: celebrare le donne e il loro lavoro.
Questa scena si ripete almeno un altro paio di volte durante il film, con passaggi fluidi fra il backstage e la grande sartoria che confeziona costumi per cinema, qui per un film che si svolge nel ‘700.
La sartoria è gestita da due sorelle che si trovano ad avere a che fare con una grande costumista, premio oscar, che dà indicazioni, circa l’effetto che vuole ottenere con quel costume, con frasi sconclusionate che tutte fingono di capire.
Ognuna delle donne della sartoria ha qualche dramma nascosto che emerge inesorabile circa ogni quarto d’ora, alternato alle scene in backstage, con l’evidente scopo di spezzare a forza, a volte a freddo, con eventi o ricordi drammatici, una narrazione che non c’è.
Le attrici tutte brave – Geppi Cucciari fa sè stessa nella veste di sarta – perché Opzetek è un signor regista che sa come muovere la macchina da presa in mezzo a tanti personaggi e sa come cogliere le espressioni. Solo che bravi attrici espressive non bastano a coprire la ricorrente, fastidiosa sensazione ecco che mo’ arriva il colpo di scena.
È un regista che ormai da anni spreca quel talento che nei primi tre, quattro film, risultò cristallino.
La morale ci viene inflitta nell’ultima egocentrica scena, quando un Opzetek con aria ieratica e ispirata si aggira per le stanze ormai vuote del set mentre voci fuori campo ci ricordano, ce le fossimo scordate, le frasi più significative di abissale profondità, tipo se ci si vuole bene non serve vedersi o tutte insieme ce la possiamo fare o non siamo niente e siamo tutto e via di questo passo.
L’omaggio finale al cinema e a grandi attrrici come Monica Vitti, Mariangela Melato e Virna Lisi arriva fuori posto e mi pare sia solo l’ultima autocelebrazione.
Gli uomini: con l’unica eccezione della faccia simpatica di Luca Barbarossa che con la moglie sopravvivono alla morte della figlioletta investita sulle strisce (anche questa ci arriva a freddo, con la grande trovata di far muovere l’attrice lungo un murales con una grande faccia di bambina) e senza testimoni – gli uomini, dicevo, sono tutti irrimediabilmente stronzi, ciascuno a suo modo, oppure sono boy toy da usare, in un rovesciamento in cui le battute sul bel culo o che ti farei le fanno le donne.
Quando uscì lessi commenti entusiasti, soprattutto di donne, che forse si sono sentite valorizzate o forse vendicate. Purtroppo, la logica che sta sotto è quella della guerra fra i sessi, tanto che un potenziale femminicidio ci viene raccontato essere diventato un ‘omminicidio”, che risulta pure divertente, per quanto odioso e sopra le righe figura il sempre bravo Vinicio Marchionni al quale qui viene chiesto di scimmiottare il Valerio Mastrandea di C’è ancora domani.
Meglio farli fare alle donne i film dalla parte delle donne, no? Noi uomini avremmo più da riflettere su noi stessi.
Un BRUTTO film, da evitare.









