A pagina centotrenta delle trecentocinquanta di quest’opera ho lasciato perdere.
Una scrittura che si fa leggere – e ci mancherebbe, da un premio Nobel – ma una ripetitività e una ridondanza che per le prime cento pagine si esercitano sui pensieri profondi di chi scrive, senza fatti.
Da pagina cento circa arriva qualche personaggio.
Poi, sfogliando avanti, ci sono capitoli – direi racconti – in cui forse qualcosa succede.
L’ultimo capitolo si intitola:
“Il cigno di Instambul (79 paragrafi su pagine bianche)
In ricordo di Kostantinos Kavakis”.
Seguono venti pagine bianche, come promesso.
Nella pagina finale l’Autore ci fa sapere, con parole certo migliori della mia sintesi brutale, che il mondo non gli piace e che non vuole portarsi niente appresso.
Confesso il mio limite, ma la risorsa scarsa è il tempo.









